Situata sulla fascia costiera della Calabria Jonica, a metà strada da Sibari e Crotone, Cariati è un centro turistico - balneare, agricolo e peschereccio tra i più importanti della regione. Il paese con il suo inconfondibile aspetto di borgo medievale fortificato vanta un importante passato. E' stato abitato fin da tempi antichissimi, come risale da alcune importanti scoperte archeologiche effettuate agli inizi del '900, tra cui si segnala quella concernente la cosiddetta "Tomba Brettia". Colonia della Magna Grecia, e poi conquista romana, la città sorse come luogo strategico fortificato, situato su una collina in vista del mare, in età bizantina. Diventa contea in epoca normanna e poi principato (1565), Cariati fu soggetta a varie signorie. Vi si alternarono i Ruffo, i Riario, i Sanseverino, i Coppola, i Borgia e in ultimo (1505) gli Spinelli, potente famiglia dell'aristocrazia napoletana, Principi di Cariati dal 1565 fino a tutto l'800. Nel 1437, mentre si trovava sotto la signoria dei Ruffo, Cariati fu elevata a sede vescovile e tale titolo conserva ancora oggi. Fra i suoi vescovi più importanti si ricorda Francesco Gonzaga (1633-1657), che promosse la costruzione del Palazzo Vescovile e del Seminario, e Nicola Golia (1839-1873) che nel 1857 riconsacrò la Cattedrale di origine quattrocentesca, da lui fatta completamente ricostruire in stile neoclassico. La prima metà del '500 fece registrare ripetuti attacchi e devastazioni da parte di pirati turchi che infestavano allora il Mediterraneo.Nel 1544 il corsaro Kaireddin Barbarossa la distrusse quasi completamente e ne fece prigioniera gran parte della popolazione, compreso il vescovo Giovanni Carnuto. Nel '600 la città si riprese dalle devastazioni turche e vide rinnovarsi quasi tutto il suo tessuto urbano. Tra il 1806 e 1815, nel cosiddetto decennio francese, Cariati conobbe le conseguenze negative del brigantaggio, essendo stata scelta come quartiere generale delle sue imprese banditesche dal re Coremme, uno dei peggiori briganti dell'epoca. La città fu assediata due volte dai Francesi, decisi a scovare ed annientare la banda del brigante filo borbonico. Nei primi decenni dell'Unità risentì, come molte comunità analoghe, dei problemi economici e sociali che caratterizzarono il Mezzogiorno d'Italia. Con il completamento della costruzione del tratto ferroviario Taranto - Reggio Calabria, si spezzò finalmente il suo secolare isolamento e la comunità locale si avvantaggiò di facili collegamenti con Napoli, Roma e il resto d'Italia. In questi ultimi anni Cariati è sempre andata più caratterizzandosi come centro turistico - balneare di un certo livello. Attualmente dispone di un non comune infrastruttura turistica: un porto con caratteristiche adeguate al turismo nautico e all'approdo di battelli da diporto, utilizzato anche come rifugio per le barche dei numerosi pescatori locali.
La tessitura è l’attività artigianale più conosciuta e più interessante di Cariati. Ha origini molto antiche ed è stata importata dall’Oriente da quelle persone che riuscirono a tornare in paese dopo le deportazioni in Turchia, seguite alle numerose incursioni piratesche del XV secolo. Secondo una leggenda popolare, molto cara ai Cariatesi, l’arte della tessitura sarebbe stata introdotta nel nostro paese da una giovane donna, Laura che, nel 1544, durante l’assedio del corsaro Kahir ed-Dim detto Barbarossa, venne catturata e portata a Costantinopoli dove sarebbe divenuta la favorita del Sultano. La bella Laura soggiornò per lunghi anni in terra d’ Oriente, lì apprese la meravigliosa arte di tessere al telaio coperte e tappeti dai colori sfavillanti, ma il suo pensiero era sempre rivolto alla sua amata terra di Calabria, alla sua Cariati. Alla morte del Sultano, quando poté finalmente fare ritorno a Cariati, Laura fece conoscere alle sue compaesane quella mirabile arte della tessitura che ancora oggi è un vanto dell’ artigianato cariatese. Le tessitrici di Cariati un tempo erano numerose e producevano coperte, arazzi e tappeti dai colori luminosi e molto intensi con disegni particolari: cestelli, rose a mazzi, stelle, rombi e altri che richiamano l’ arte magno-greca. La visita al laboratorio di tessitura della signora Maria Russo, abile tessitrice di Cariati, e l’ intervista hanno consentito una completa conoscenza di questa meravigliosa arte in via di estinzione.
Il telaio
Il telaio a mano delle tessitrici cariatesi è di antica fattura, costruito da artigiani locali. Oggi a Cariati ne esistono forse una decina, ma anticamente in ogni famiglia esisteva un telaio. La struttura è fatta di legno di castagno e mediante l’ azione di leve e pedali e lo scorrimento della navetta nell’ ordito, consente alla tessitrice di intrecciare i filati di cotone, lana, seta , perlè. Le parti del telaio sono tante e tutte importanti per il funzionamento: nigghiulu, palummedde, sugghiordituru, lizzi, cruci, mbrighedda, peracchia, mortalaru, cassita.
Il lavoro al telaio
Lo stame viene acquistato in matasse, dipanate con l’ arcolaio ( a nimula) e poi trasferite in spagnolette nel telaio attraverso un complicato sistema che li ordina in fasce. Sistemata anche la trama, la tessitrice inizia la lavorazione che può essere: liscia (quando il disegno è uniforme alla trama) e a pizzilunu ( che si ottiene rialzando i punti a mano con un ferretto ). Per le coperte si lavorano 3 teli separati e poi si uniscono a mano con punti invisibili. La cosa meravigliosa è che la coperta, finita, sembra lavorata tutta contemporaneamente perché lo schema è unico; infatti la parte centrale (u zemp) è lavorata in ampio riquadro, intorno una fascia più larga (paranzula) e una più stretta (u pizzettu) delimitate da profili (parafilo); la rifinitura è una frangia intorno al bordo.
Le zempere
Le zempere cioè i campioni da cui vengono presi i disegni per fare coperte, arazzi e tappeti, sono un vero tesoro tramandato per generazioni, alcune sono inventate dalle tessitrici osservando un oggetto e sono gelosamente custodite perché considerate creazioni esclusive della Gnura, cioè della maestra tessitrice. Le zempere più conosciute sono: il mazzetto, la vigna, la caccia, l’ aria stiddata, a voculidda, u prat i l’angeli, a rasta cu l’ oceddi, u crapiu, u per’ira cerza, a greca. Dal telaio escono splendide coperte molto apprezzate e ricercate dai turisti e dagli amanti dell’artigianato.
L’ arte vasaia è un’ attività artigianale tipica di Cariati dalle origini antichissime, oggi quasi estinta. I vasai avevano le loro piccole botteghe artigiane concentrate in un rione chiamato i “Vucalari” nome derivato dal “vucalu” ,un recipiente di terracotta con manico e beccuccio, usato per contenere acqua. La bottega del vasaio era molto misera (gli unici attrezzi di laboratorio erano il tornio e un bancone). La lavorazione antica era a gestione familiare: le donne raccoglievano le fascine e badavano all’ essiccazione, i più piccoli preparavano la creta e gli uomini si occupavano del tornio. La creta veniva impastata con molta acqua dai giovani e dai bambini che, per ore e ore, dovevano calpestarla con i piedi e renderla plasmabile. La creta veniva poi foggiata col tornio, costituito da due piani di forma circolare collegati da un asse verticale. Il tornio, azionato col piede sinistro del vucalaru, si metteva in movimento e, grazie alle mani esperte del vasaio, dava forma a quei vucali che stupiscono per la loro perfezione. Il maestro, per rigare i vasi, utilizzava qualche pezzo di pettine rotto, per togliere il vaso dalla ruota si serviva di un filo. I prodotti venivano esposti al sole ad asciugare e poi cotti nella fornace per circa 6 ore a 900 gradi. L’ apprendista impiegava parecchi anni prima di diventare “mastru vucalaru”,cominciava con lavori semplici come “ i rasticeddi” (piccoli vasi per le piante) e man mano arrivava a quelli più complessi. Oggi questa attività è quasi completamente scomparsa, ma nel passato gli oggetti costruiti dai nostri vucalari erano conosciuti e apprezzati in tutto il Meridione.
La produzione artigianale è stata sostituita da quella industriale; nel rione Vucalari, dove una volta c’ erano casupole utilizzate per lavorare la creta e per fornaci, oggi ci sono costruzioni nuove. I pochi maestri vucalari presenti a Cariati non lavorano più artigianalmente, né ci sono apprendisti giovani disposti a conoscere e tramandare l’ arte vasaia.
Gli oggetti dell’ antica tradizione vasaia, più noti, sono:
- I vucali: boccali di terracotta destinati a contenere l’ acqua da bere.
- A ciarra: giara usata per la conservazione delle olive sotto sale o per contenere l’ olio.
- A limma: larga scodella dall’interno smaltato.
- A rasta: vaso per le piante.
- A gummula: piccolo orcio per l’ acqua.
- A rasta p’ira liscia: grande recipiente dentro cui veniva fatto il bucato rudimentale ( cenere e acqua calda).
- A lincedda: recipiente panciuto a collo largo, pieno d’ acqua attinta alla fontana.
- U tarzarulu: contenitore per provviste varie sotto sale.
- A tianedda: tegame usato per preparare il sugo o i secondi piatti.
- A pignata: pentola generalmente usata per cuocere i legumi, sfruttando il calore del focolare.
L’unica attività artigianale fiorente a Cariati è la piccola cantieristica navale. La presenza di artigiani del legno specializzati nella costruzione di barche da pesca e da diporto richiama a Cariati tutti gli appassionati del mare dell’Italia meridionale. L’ arte dei maestri d’ ascia non è nata sul luogo, ma è stata importata nel 1920 da un abile artigiano proveniente dalla costiera amalfitana, un certo Natale Monti, che, da Maiori, in provincia di Salerno, approdò sulla nostra costa chiamato da numerosi pescatori per costruire delle imbarcazioni. Dopo la prima barca, Natale Monti, ebbe tantissime richieste anche dai pescatori di Rossano, Corigliano, Sibari che decise di svolgere la sua attività a Cariati, dove si stabilì con la moglie e il piccolo Vincenzo di soli 2 anni. Accanto all’ abitazione, vicino alla spiaggia, Natale creò un piccolo arsenale a cielo aperto, successivamente venne annesso un capannone che rimase per decenni il cantiere dei Monti.
La tradizione familiare continuò con i figli Vincenzo e Cataldo. Il primogenito, rientrato dal fronte, trascorse alcuni anni a Salerno, dove ebbe modo di perfezionare, in un cantiere navale, ciò che aveva appreso nella bottega paterna. Alla fine dell’apprendistato conseguì il diploma di maestro d’ ascia, rilasciato dalla Capitaneria di porto di Salerno. Nel 1950 Vincenzo Monti fece ritorno a Cariati per continuare l’ arte paterna e insieme al fratello Cataldo mantenne il cantiere attivo per circa 40 anni. Se ancora oggi quest’ arte esiste è merito di Antonio Montesanto, cariatese purosangue e unico maestro d’ ascia dell’ intera costa ionica, che, sin da piccolo, ha seguito i fratelli Vincenzo e Cataldo Monti imparando il mestiere con grande arte e passione. Antonio Montesanto con l’ aiuto del nipote Cataldo Aiello, giovane maestro d’ ascia, e uno staff di collaboratori costruisce ogni tipo di barca. Il cantiere di Montesanto si trova in contrada Magarello, si chiama AR BA( Artigiana Barche), è diviso in due parti: la parte a mare dove ci sono le barche vecchie, quelle in costruzione e il legname; il capannone dove ci sono pialle, motosega, trapani e l’ immancabile ascia.
Ingredienti: 1kg di farina, 1/4 di olio bollente, sale, chiodi di garofano, Cannella, Vermoutho marsala o vino bianco.
Preparazione: mettere la farina sulla spianatoia ed aggiungere olio bollente. Lavorare l'impasto con le mani fino a togliere tutti i grumi. Aggiungere il sale, poi la cannella e i chidi di garofano in polvere, impastare tutto con il vermouth o marsala o vino bianco. Formare dei bastoncini di 5-6 centimetri. Passarli su un cestino di vimini per dare forma rigata e friggere in olio bollente.
Ingredienti: 1kg di farina, 1/4 di olio bollente, sale, chiodi di garofano, Cannella, Vermoutho marsala o vino bianco.
Preparazione: mettere la farina sulla spianatoia ed aggiungere olio bollente. Lavorare l'impasto con le mani fino a togliere tutti i grumi. Aggiungere il sale, poi la cannella e i chidi di garofano in polvere, impastare tutto con il vermouth o marsala o vino bianco. Formare dei bastoncini di 5-6 centimetri. Passarli su un cestino di vimini per dare forma rigata e friggere in olio bollente.
Ingredienti: pesce misto da zuppa, peperoni, cipolla, pomodoro, prezzemolo.
In una padella larga, far soffriggere la cipolla con i peperoni. A metà cottura, aggiungere pomodoro a pezzi o pelati e un po' di prezzemolo. Il sugo deve essere tanto quanto ne serve per dare colorito al pesce. Quando i peperoni sono cotti, salare e aggiungere un po' d'acqua. Appena raggiunge il bollore, aggiungere il pesce e lasciar cuocere con un coperchio, senza mai girarli, per una ventina di minuti.
Ingredienti: 400 gr maccheroncini, 300 gr melenzane, 500 gr pomodori maturi, aglio, basilico, olio di oliva, sale.
Montate le melenzane, lavatele, tagliatele a pezzi e su un piatto, spruzzate di sale, lasciate che diano l'acqua per una oretta. Tritate finemente l'aglio. Immergete per qualche minuto in acqua bollente i pomodori, spellateli, e tritateli grossolonamente. In una casseruola di terracotta, soffriggete con un p? d'olio l'aglio e mettete le melenzane strizzate. Quando saranno dorate toglietele con il mestolo forato e tenetele da parte, in caldo. Nel fondo di cottura mettete i pomodori, salate, cuocete per 15 minuti e alla fine aggiungete le melenzane e qualche fogliolina di basilico, insaporendo al fuoco ancora per qualche minuto. Avrete intanto fatto cuocere, i maccheroncini, in molta acqua salata. Scolateli cotti al dente, conditeli con la salsa.
Ingredienti:alici, uova, formaggio grattugiato, farina, prezzemolo, aceto, sale, pepe.
Pulire le alici e aprirle, cercando di lasciare le due metà attaccate. Metterle a bagno per mezz'oretta con aceto e sale. In una citola, sbattere le uova con il formaggio, la farina, un bel po' di formaggio grattugiato e prezzolo tritato, sale e pepe nero. La pastella deve essere abbastanza densa. Scolare per bene le alici. In una padella mettere a scaldare un bel po' d'olio. Quando è caldo, passare le alici nella pastella e friggerle. Vanno servite molto calde.
Ingredienti: 400g di alici freschissime, 4 spicchi d'aglio, olio extravergine d'oliva, peperoncino in polvere (molto fine), origano, aceto di vino rosso, sale.
Pulire le alici caparle ed eviscerarle. In un tegame di ferro (di quelli che si usavano prima dell'avvento del teflon, che ugualmente non facevano attaccare nulla... o quello che avete) mettere 2 spicchi d'aglio tagliati a fettine, una spolverata di peperoncino, olio in abbondanza e le alici. Queste vanno messe molto fitte per tutta la larghezza del fondo del tegame e scontrate (testa/coda). Mettere sul fuoco e appena prende calore salare e aggiungere una generosa spolverata di origano. Durante la cottura i pesci non vanno rigirati, se mai agitare leggermente la padella. Lasciare cuocere per 8/10 minuti. Poi con l'aiuto di un cucchiaio eliminare l'olio (tenendolo da parte) e capovolgere le alici come fossero una frittata con l'aiuto di un piatto. Rimettere il tegame sul fuoco con l'olio tolto prima e se occorre aggiungerne altro, quindi nuovamente aglio e peperoncino. Far scivolare le alici in padella (sistemare quelle che nel frattempo si sono sovrapposte) e ricondire con sale e origano. Quando sono trascorsi 8/10 minuti spruzzare l'aceto sui "pescetti" e far evaporare completamente. Durante questa operazione stare molto attenti agli schizzi e allo "scattiamento". La cottura di questo piatto richiede molto olio non vi meravigliate! Servire freddo.
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Ingredienti: 500gr di farina, 1 cubetto di lievito, acqua calda, un cucchiaino di sale,un pizzico di zucchero.
Ingredienti per la farcitura: salsa di pomodoro, origano, aglio, olio, sardella salata Preparare la pizza impastando tutti gli ingredienti e lasciare a lievitare per un'ora. Nel frattempo, prepare un po' di sugo, facendolo cuocere solo con un po' d'olio e sale. Quando il sugo sarà freddo, aggiungere l'origano, l'aglio a pezzettini e la sardella. Anche qui le quantità dipendono dai gusti. Il trucco è che non si senta troppo il pomodoro. Stendere la pizza cercando di manterere una forma rettangolare, spennellare d'olio e spalmare il sugo con la sardella. Tagliare la pasta a strisce orizzontali più o meno di 10cm e arrotolare ogni striscia. In una teglia con un po' d'olio sul fondo, posizionare i rotolini in posizione verticale, schiacciandoli leggermente, in modo da avere una forma a rosellina. Cuocere in forno a 200°C per circa un'ora.
Ingredienti: bianchetto, pepe rosso in polvere, sale.
Lavare il bianchetto molto bene sotto l’acqua corrente e farlo sgocciolare. Sistemarlo in un recipiente di terracotta, aggiungendo a strati sale e pepe rosso. Coprire il recipiente con un disco di legno appesantito da una pietra. Conservare in luogo fresco e secco e, man mano che la sardella si comprime, aggiungere altre pietre.